giovedì 9 maggio 2013


LIBRO

“Per un anziano che cade, cadono da cinque a dieci reclute.
Un attacco improvviso, col gas, ne falciò parecchi. Non riuscivano a comprendere ciò che li aspettasse; ma abbiamo trovato un ridottino pieni di morti con la faccia azzurrastra e le labbra nere. In una buca si sono tolte le maschere troppo presto, ignorando che a fior di terra il gas si mantiene più a lungo. Quando hanno visto gli altri, sopra, togliersi la maschera, se la sono strappata anche loro, e hanno ingoiato ancora abbastanza gas per bruciarsi i polmoni. Il loro stato è senza speranza, soffocheranno fino alla morte fra sbocchi di sangue e attacchi di asfissia…” cap. VII – “Niente di nuovo sul fronte occidentale”-


Fabio Ducato

mercoledì 8 maggio 2013


LIBRO

“A notte si dà l’ allarme dei gas. Aspettiamo l’ attacco e ci corichiamo a terra con le maschere preparate, pronti ad applicarle alla prima ombra che si veda.” Cap. VI, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

L’ utilizzo di maschere antigas, ampiamente introdotte in un post precedente, ridusse drasticamente l’ efficacia dei gas tossici impiegati nel corso della Prima Guerra Mondiale. Si stima che all’ inizio del conflitto il tasso di vittime causate da questi armamenti fosse del 30% mentre al termine dello stesso era “soltanto” il 3%. Questo è un dato che mostra chiaramente come le tecnologie belliche specialmente in campo chimico ebbero, durante la Guerra, uno sviluppo esponenziale.
Qui di seguito una tabella riportante il numero di feriti e i decessi collegati, causati da gas, suddivisi per nazioni di riferimento:
Nation                   Fatal                     Non-fatal
Russia                  56,000                     419,340
Germany                9,000                      200,000
France                   8,000                      190,000
British Empire        8,109                      188,706
Austria-Hungary    3,000                      100,000
USA                     1,462                        72,807
Italy                       4,627                        60,000
Total                    88,498                  1,240,853

Fabio Ducato



LIBRO

Come già analizzato in precedenti post, i gas tossici ricoprirono un ruolo decisivo lungo tutta la Prima Guerra Mondiale. La loro diffusione nell’ ambiente circostante fu oggetto di studi e ricerche, spesso condotte da scienziati e ingegneri italiani, volte a massimizzare i danni causati dagli stessi a parità di quantità di gas impiegata. Proprio gli italiani svolsero numerosi test relativi a questo ambito, diventando in pochi anni tanto esperti da utilizzare le tecniche apprese in Eritrea e Libia.
In generale infatti l'impiego degli aggressivi chimici pone delle difficoltà a causa di fattori intrinseci quali:
·         persistenza: alcuni agenti sono difficilmente idrolizzabili e il loro smaltimento risulta estremamente difficoltoso, cosicché essi permangono per molto tempo in situ ad esplicare la loro azione tossica. Questo comporta che anche chi abbia utilizzato tali agenti allo scopo di conquistare un certo territorio, si troverà ad occupare un territorio saturo di una sostanza aselettivamente tossica (ovvero, tossica anche contro chi l'ha impiegata)
·         inaffidabilità: l'area e la direzione di dispersione non possono essere calcolati con sicurezza assoluta
·         corrosività: lo stoccaggio di alcuni composti pone problematiche di tenuta dei contenitori
·         assenza di antidoti efficaci: alcuni di questi aggressivi chimici si trovano tuttora privi d'un antidoto efficace.
I requisiti richiesti agli aggressivi chimici per il loro impiego sul campo di battaglia sono connessi alla velocità d'efficacia nel rendere non operative le truppe nemiche, e, per quanto possibile, alla creazione rapida d'una cospicua massa d'invalidi più che una strage in sé. Infatti, crea maggiori problemi logistici il ricovero di un notevole quantitativo di feriti nei servizi ospedalieri dietro le linee avversarie, che non la morte immediata dei soldati nemici.
In linea teorica, gli aggressivi chimici dovrebbero possedere le seguenti caratteristiche:
·         estrema stabilità agli agenti atmosferici, biologici, biochimico-metabolici, chimico-fisici in generale, al fine di conservare a lungo il loro potenziale offensivo
·         scarsa o nulla reattività agli agenti chimici (dovrebbero essere inerti, od il meno reattivi possibile), così da non venir rapidamente degradati
·         elevata persistenza sul campo di battaglia, come conseguenza dei precedenti requisiti.
·         produzione e conservazione agevoli e possibilmente sicure, cosicché sia facile conservarne scorte cospicue
·         amfipaticità, tale che possano essere sia liposolubili, che idrosolubili; ciò li rende penetranti in ogni ambiente e per qualsiasi via (corpo umano incluso)
·         multiaggressività: In particolare, devono poter penetrare nell'organismo tramite più accessi contemporaneamente od alternativamente. La penetrazione nell'organismo mediante vie plurime si configura come la qualità più essenziale, al fine di rendere difficoltosa l'opera di difesa
·         difficoltà d'identificazione da parte di test chimici estemporanei e di esami chimici accurati
·         possibilità d'inattivazione veloce da parte di coloro che accidentalmente venissero intossicati (devono esistere antidoti, protezioni, e mezzi di difesa a disposizione della parte attaccante)
·         rapidità d'azione, unitamente a tossicità elevata: devono possedere una diffusibilità ed una capacità di veloce e totale saturazione di ambienti aperti e ventilati; le sopracitate caratteristiche, così come l'essere fortemente tossici, ossia attivi alle concentrazioni minime richieste e, per i neurogas, anche a dosi infinitesimali. Non essendo suscettibili d'alcuna biodegradazione, tali qualità vengono pienamente soddisfatte da composti gassosi, vapori, aerosol, o, meglio ancora, da liquidi a bassa tensione di vapore. Questi ultimi, infatti, sono suscettibili d'immagazzinamento e di trasporto sicuri, e garantiscono una pronta e spontanea vaporizzazione una volta rilasciati nell'ambiente.

Come prima forma di risposta alle problematiche sopra presentate vi è il metodo di dispersione.
La dispersione è il metodo di diffusione più semplice. Consiste nel rilasciare l'agente nelle vicinanze del bersaglio prima della diffusione.
Agli inizi della prima guerra mondiale si aprivano semplicemente i contenitori di gas aspettando che il vento lo disperdesse oltre le linee nemiche. Benché relativamente semplice questa tecnica presentava diversi svantaggi. La diffusione dipendeva dalla velocità e dalla direzione del vento: se il vento era incostante, come nella battaglia di Loos, il gas poteva essere spinto indietro contro gli utilizzatori stessi. Le nuvole di gas, inoltre, erano facilmente percepibili dai nemici che avevano spesso il tempo di proteggersi. È da notare tuttavia che la visione dell'arrivo della nuvola di gas aveva per molti soldati un effetto terrorizzante. Con la tecnica della diffusione aerea inoltre il gas presentava una penetrazione limitata riuscendo a colpire solo le prime linee prima di essere dispersa. L'apprestamento delle batterie di bombole richiedeva poi molta manodopera, sia per il trasporto del materiale che per l'allestimento delle trincee, e tutto il lavoro poteva essere vanificato da un colpo d'artiglieria nemico che andando a segno danneggiasse qualche bombola; l'effetto sorpresa, indispensabile per cogliere impreparato il nemico, era infine inversamente proporzionale al tempo necessario alla preparazione dell'attacco.
Per queste ed altre considerazioni si ricercarono subito modalità alternative per far giungere il gas sulle trincee nemiche senza rischi per i propri uomini, e in concentrazione sufficiente. I primi ritrovati messi a punto furono dei lanciabombe adattati al lancio di contenitori di gas destinati a rompersi nell'impatto col suolo; numerosi furono i modelli costruiti fra i vari eserciti (il più diffuso fu probabilmente il britannico "Livens"), ma in genere il criterio di impiego era il medesimo: venivano apprestate in prossimità della prima linea vere e proprie batterie di centinaia di lanciabombe interrati; questi, al momento dell'attacco, venivano azionati contemporaneamente tramite un comando elettrico e lanciavano il proprio carico venefico a distanze variabili da 400 metri ad un paio di chilometri.
L'utilizzo del lanciabombe rimase in voga per tutta la guerra, ma la ricerca da parte di tutti gli eserciti marciava verso l'impiego dell'artiglieria. Ciò permise di superare molti inconvenienti legati all'impiego delle bombole. L'arrivo a destinazione dei gas era indipendente dalle condizioni del vento e si aumentava il raggio d'azione secondo la portata dei cannoni; si era in grado inoltre di scegliere quali bersagli colpire, con relativa precisione, ed eventualmente differenziare i gas utilizzati in una stessa azione a seconda della tipologia di bersaglio. I proiettili inoltre potevano diffondere l'agente senza alcun preavviso per i nemici, specialmente il fosgene, quasi inodore. In molti casi i proiettili caduti senza deflagrare venivano giudicati normali colpi inesplosi, il che lasciava il tempo all'agente di diffondersi prima che fossero prese le precauzioni necessarie.
Il difetto maggiore di questa tecnica era la difficoltà a raggiungere concentrazioni sufficienti di gas. Ogni proiettile poteva trasportare una quantità relativamente piccola di gas e per ottenere una nube paragonabile a quella generata dalle bombole era necessario eseguire un intenso bombardamento di artiglieria. Negli anni cinquanta e sessanta i razzi d'artiglieria per la guerra chimica contenevano molte "sotto-munizioni" in modo da formare un gran numero di piccole nuvole tossiche sul bersaglio.
Con il procedere degli anni si svilupparono via via tecniche tanto più complesse quanto più efficaci, che andarono ad aumentare ulteriormente gli effetti distruttivi dei gas tossici.



Fabio Ducato

Il Medioevo fu segnato dal progressivo venir meno dell’ impiego di armi chimiche. Solo durante il rinascimento “pseudo-ingegneri” ridiedero impulso ad uno sviluppo, quello degli armamenti chimico/biologici, che tra il XII e il XIV secolo, vide una notevole battuta d’ arresto.
In questa fase storica infatti personalità come Leonardo da Vinci, si ersero come veri promotori di tali tecniche di guerra.
Le uniche tracce "medievali" di armi che sfruttano le proprietà tossiche degli elementi costituenti, si riferiscono al “lancio” (tramite catapulte e trabucchi), durante lunghi assedi, di animali infetti (a volte addirittura soldati “amici” caduti) all’ interno delle mura nemiche.
L’ assenza d’ igiene e di tecniche curative adeguate avrebbero permesso alle malattie di diffondersi riducendo drasticamente i tempi di resistenza degli assediati.
Unico testo di riferimento di relativo rilievo di questo periodo storico è il “Mappae Clavicula”, attribuito a Adelardo di Bath (XII secolo), in cui però si menzionano esclusivamente ricette per la fabbricazione di frecce incendiarie ed avvelenate (tecniche senz’ altro poco innovative).

Fabio Ducato

sabato 4 maggio 2013


Come anticipato in un post precedente, mi appresto, qui di seguito ad aprire una breve discussione relativa alle origini delle armi chimiche in Cina.
Lo stato cinese infatti, già dal 1000 a.C., adoperò sostanze tossiche sia come strumento di lotta contro stati limitrofi sia per sedare faide interne.
Proprio al 1000 a.C. si fa risalire la comparsa sugli scenari bellici di fumi a base di triossido d’ arsenico e, pochi anni dopo, di bombe gas sparate con rudimentali mortai.
Le ragioni che fanno da sfondo a questo repentino sviluppo di strumenti chimici si devono alla presenza di numerosi pensatori, filosofi cinesi che ne elogiarono le qualità belliche e strategiche.
Si veda ad esempio il pensatore Mo Di che nel suo testo “Mozi” si occupò di tecniche d’ assedio e di difesa menzionando le “contromine a base di agenti chimici”.
Circa 3 secoli dopo Mo Tzu pubblicò un breve testo all’ interno del quale era possibile ritrovare una sorta di “ricettario chimico” : “avvelenare pozzi e canali con foglie tritate di daphne genkwa, illicium religiosum (anice giapponese), aconitum fischeri vecchi di due anni e zanthoxylum piperitum.
Grazie a questo libro i Chin avvelenarono il fiume Ching nel 559 a. C.
Qui di seguito allego un breve elenco dei principali armamenti chimici cinesi, sebbene rudimentali molto all’ avanguardia rispetto al resto del mondo:

~ fumi lacrimogeni da fine polvere di calcina
 - Yang Hsuan di Ling-ling contro contadini in rivolta (178)
 - Sung nella battaglia di Tshai-shih (1161) contro i Jurchen al fiume
 Yang-tzee e contro tartari Chin (1134)
~ dal XI secolo lanciafiamme con sostanze velenose (arsenico,
 orpimento, realgar, mercurio, cinabro)
~ bombe esplosive con fumi tossici (aconito, arsenico, calce, feci, olio
 dei semi di aleurites) per far sanguinare naso e bocca o con effetti
 vescicanti nel Wu Tsung Yao (collezione delle più importanti
 tecniche militari) di Tseng Kung-Liang (1040)
~ dal XIII secolo razzi alati per bombe con fumi velenosi e irritanti
~ 1290 eruttori di bronzo per proiettili con fumi tossici
~ bombe a frammentazione con materiali velenosi (ammoniaca, succo
 di scalogno, feci e urina) e lanciafiamme con effetti lacrimogeni nel
 Huo Lung Ching (manuale per “draghi di fuoco”) (1350)
~ Ping Lu (1606) spiega il ruolo delle varie sostanze per proiettili,
 riservando ruoli tossici all’arsenico e vescicanti all’ammoniaca


Fabio Ducato

venerdì 3 maggio 2013


LIBRO:


Ci si ritrova spesso, nel corso della lettura del libro, di fronte ad attacchi nemici improvvisi  preceduti da diffusioni di gas o di altri elementi tossici volti a stordire o uccidere l’ avversario.
“La mano mi scuote: io volgo la faccia, nel bagliore di un secondo distinguo il viso di Katzinski. Ha la bocca spalancata e urla qualcosa ch’ io non arrivo a sentire: continua a scrollarmi, si avvicina; e in un momento di minor rumore, le sue parole mi raggiungono: <<Gas! Gas! Gas! Passa la voce!>>” – cap. IV, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.

La Grande Guerra vide infatti il proliferare di dispositivi chimici e gas tossici che, annientando inesorabilmente (almeno agli inizi) il nemico, permettevano agli eserciti, bloccati nelle trincee, di evitare lunghe e pericolose situazioni di stallo.
I gas impiegati furono i più diversi, tutti letali specialmente all’ inizio del conflitto quando le tecnologie di difesa erano ancora scarse ed inefficaci.
Qui di seguito una tabella riportante i dati sul numero di vittime causate dai vari gas:



NAZIONE                                                                                   TOTALE VITTIME DEI GAS

Austria-Ungheria                                                                                        100,000

Francia                                                                                                      190,000

Germania                                                                                                  200,000

Italia                                                                                                           60,000
  
Russia                                                                                                      419,340

USA                                                                                                          72,807

I gas tossici adoperati nella Prima Guerra Mondiale appartengono a 4 categorie: i lacrimogeni, gli starnutenti, gli irritanti dell`apparato respiratorio e gli ulceranti.

-          Lacrimogeni

            Benzyl bromide: tedesco; primo uso marzo 1915;
Bromacetone: usato da alleati e austriaci; moderatamente persistente; asfissiante in     concentrazione                  elevata; introdotto nel 1916;
            Dibrommethylethylketone: usato da tedeschi e austriaci; letale se concentrato; introdotto nel 1916
Ethyl iodoacetate: britannico; alta persistenza; gli effetti terminano fuori dall'area contaminata; introdotto nel 1916;
Monobrommethylethylketone: tedesco e austriaco; potentissimo; moderatamente persistente; asfissiante in concentrazione elevata; introdotto nel 1916;
Xylyl bromide: tedesco; potente; introdotto nel 1915.

-          Starnutenti

Diphenylchloroarsine: tedesco; consisteva in una polvere finissima capace di penetrare le maschere antigas, dispersa tramite proiettili di artiglieria; in concentrazione provocava conati di vomito e potenti mal di testa; noto come "Croce Blu", introdotto nel 1917;
Diphenylcyonoarsine: tedesco; potentissimo; identiche caratteristiche rispetto al precedente, che sostituì all'interno dei proiettili "Croce Blu";
Ethyldichloroarsine: tedesco; noto come "Croce Gialla I" e più tardi come "Croce Verde III", introdotto nel marzo 1918.

-          Irritanti dell'apparato respiratorio

Arsenic trichloride: vedi "Hydrogen cyanide";
Chlorine: usato sia da alleati che ta tedeschi; irrorato tramite bombole; con l'umidità formava acido cloridrico; causava vomito e se concetrato poteva provocare la morte per spasmi della laringe; introdotto nel 1915;
Chloroform: vedi "Hydrogen cyanide";
Chloromethyl chloroformate: impiegato da alleati e tedeschi; disperso da proiettili di artiglieria; introdotto nel 1915;
Chloropicrin: usato sia da alleati che da tedeschi; potentissimo; utilizzabile sia tramite bombole che tramite proiettili, ma in particolare con questi ultimi in congiunzione con altri gas; noto come "Croce Verde I", introdotto nel 1916;
Cyanogen bromide: austriaco; miscela basata sul cianogeno; immediatamente mortale se concentrato, altrimenti incapacitante; causa vertigini, malditesta, dolori polmonari, ma nessun effetto permanente; introdotto nel 1916;
Dichlormethylether: tedesco; introdotto nel 1918;
Hydrogen cyanide: Alleato; miscela basata sul cianogeno; immediatamente mortale se concentrato, altrimenti incapacitante; causa vertigini, malditesta, dolori polmonari, ma nessun effetto permanente; disperso tramite proiettili d'artiglieria; introdotto nel 1916;
Phosgene (carbonyl chloride): usato da alleati e tedeschi; potentissimo; pericoloso in particolare per i suoi effetti ritardati che causavano una morte improvvisa anche 48 ore dopo l'esposizione e spesso la vittima non realizzava neppure di essere stata sottoposta al gas; irrorato da bombole in congiunzione con la Chlorine (vedi) e da proiettili d'artiglieria da sola; introdotta nel 1915;
Stannic chloride: vedi "Hydrogen cyanide";
Trichloromethylchloroformate (diphosgene): alleato e tedesco; stessi effetti del Phosgene (vedi); disperso da proiettili d'artiglieria di solito in combinazione con altri gas; introdotto nel 1916.

-          Ulceranti

Dichlorethylsulphide (Mustard gas): usato da alleati, tedeschi e austriaci; noto anche come "Croce Gialla" e Yprite; uno dei gas più efficaci, benché ufficialmente i suoi effetti non venissero considerati letali; provocava vesciche e ustioni sulla pelle, anche attraverso i vestiti, causando cecità (normalmente temporanea) e se inalato la morte, bruciando l'apparato respiratorio; diffuso tramite proiettili d'artiglieria; persisteva anche diversi giorni in ideali condizioni climatiche; introdotto nel 1917.

Prima di concludere con questo post dedicato alla diffusione dei gas tossici nel primo conflitto mondiale, trovo curioso far notare come alla fine della guerra, tutte le nazioni del mondo bandirono ufficialmente l'utilizzo dei gas letali durante qualsiasi genere di conflitto. Ironicamente, lo stesso Adolf Hitler, caporale porta-ordini, sopravvissuto a molteplici attacchi chimici nelle Fiandre, fu una delle voci di condanna più forti all'indirizzo di questo modo inumano di guerreggiare.

Fabio Ducato

giovedì 2 maggio 2013


LIBRO:

D’ ora in poi intesterò con questo indice (LIBRO), i post totalmente dedicati al libro da me presentato all’ inizio del blog.
Saranno post anacronistici, rispetto ai progressi cronologici finora conseguiti, proprio perché basati su un libro ambientato durante la Prima Guerra Mondiale.
“Facciamo il giro delle scuderie e giungiamo in mezzo ai complementi, mentre stanno ricevendo le maschere antigas e il caffè” – cap. III, “Niente di nuovo sul fronte occidentale”.
Il salto temporale rispetto al post precedente è notevole, anzi enorme.
La Prima Guerra Mondiale rappresenta infatti una fase storica in cui massivo fu l’impiego di strumenti bellici di origine chimica.
Un utilizzo così diffuso da rendere necessario l’ impiego, nell’ equipaggiamento di base del soldato, di maschere antigas, unica difesa, sebbene spesso poco affidabile, contro ordigni sempre più letali.
Una maschera antigas è un dispositivo di protezione delle vie respiratorie da agenti inquinanti dell'atmosfera. È composta da un facciale in materiale morbido e da uno o più filtri che purificano l'aria prima dell'inspirazione. L'utilizzo della maschera in ambienti inquinati, è possibile solo con un'adeguata presenza di ossigeno in assenza della quale sarà necessaria un'apposita bombola che lo fornisca rendendo indipendente l'utilizzatore dal resto del sito pericoloso.
Il primo uso massiccio di maschere antigas risale alla Prima Guerra Mondiale quando le truppe alleate le utilizzarono come risposta ai gas tossici di matrice tedesca. Il primo modello in dotazione all'esercito consisteva in una semplice maschera di garza al cui interno era posto del cotone imbevuto di sali alcalini,  in grado di neutralizzare gas a base di cloro e bromo. In seguito a tale tipo di maschera vennero aggiunti degli occhiali protettivi, e successivamente si rimodificò  creandone una che copriva tutta la faccia. Essa venne detta polivalente a protezione unica e avrebbe dovuto proteggere (secondo la propaganda dell'epoca) in modo incondizionato e completo da tutti i gas, anche se impiegati contemporaneamente.
Le maschere antigas ebbero un notevole sviluppo nel periodo fra le due guerre mondiali, ed in particolare, all'inizio della seconda,  erano largamente distribuite sia tra le truppe che tra la popolazione civile. Successivamente alla seconda guerra mondiale, lo sviluppo di armi nucleari e batteriologiche, costrinse alla progettazione di sistemi di filtraggio più sofisticati, come per il modello M9, prodotto nel 1952 negli Stati Uniti.
Le attuali maschere antigas sono composte da un facciale di gomma o silicone, che garantisce una perfetta aderenza al viso; sono inoltre dotate di linguette e fibbie per poterla fissare dietro la testa. Sono dotate altresì di un grande visore trasparente di policarbonato o vetro stratificato, che offre un'ampia visibilità. All'interno è presente una seconda maschera che copre la zona naso-bocca. In questa sono presenti due aperture: una per l'inspirazione e una per l'espirazione, fornite delle apposite valvole per condizionare il flusso dell'aria. La valvola d'inspirazione è collegata ad un filtro, che impiega sostanze a base di carbonio attivo, opportunamente trattate per filtrare e fissare i gas nocivi, mentre la valvola d'espirazione espelle l'aria respirata senza far appannare il visore.
Qui di seguito il link relativo ad un estratto del Giornale Luce del 1938 grazie al quale ci si può rendere conto della massiccia pubblicizzazione associata alla diffusione delle maschere antigas.
Sempre tratto dal giornale Luce, trovo di estremo interesse il video postato qui di seguito in cui viene mostrato come la maschera antigas diventi parte integrante dell’ equipaggiamento del soldato non solo impegnato sul fronte, ma anche dei balilla, bambini addestrati all’ utilizzo di un dispositivo che potrà in futuro salvare loro la vita.

Fabio Ducato